La guerra: conseguenze e vite.

Mi trovo a svolgere un progetto con tre amici del Kosovo: Viona, Driton, Mirlinda, ed un amico serbo Dragan. Sono parte di un progetto Erasmus+ sulla bellissima costa montenegrina, fra località turistiche che fra qualche settimana saranno prese d’assalto da visitatori provenienti da varie parti d’Europa e del mondo. Sarebbe stato facile seguire le lezioni ed attenersi al protocollo delle attività progettuali, ma in un periodo particolare dell’anno come questo, con l’opportunità che mi si è presentata, non potevo certamente rimanere inattivo e non condividere impressioni di vita vissuta con voi tutti.

 

Siamo difatti in una settimana dell’anno particolare, la settimana che ci accompagna al 25 aprile, l’anniversario della liberazione di Milano, le celebrazioni della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Approcciarsi oggi a questo tipo di argomenti rischia di diventare per i giovani motivo di studio accademico su avvenimenti accaduti in epoca preistorica, ovverosia ricordi in bianco e nero narrati da bobine e libri di storia, i quali ci raccontano di storie vissute, ma ormai passate. In giornate come queste è importante riannodare i fili del passato col presente, per propendere il futuro prossimo in una direzione ben distinta. E’ indubbia la volontà dell’Italia e degli italiani riguardo il “ripudiare la guerra”, – del resto la nostra Carta Costituzionale lo enuncia chiaramente ed in modo inequivocabile-, ma è oltremodo utile capire come sedimentare questo forte ripudio nei cuori degli italiani, in special modo nelle giovani menti che non hanno neppure l’opportunità di ascoltare i racconti vivi dei propri nonni, ormai, nella maggior parte dei casi, deceduti per cause multiple, fra cui ovviamente quella temporale. Ed allora è importante riannodare i nervi della nostra memoria storica per propendere verso un futuro di pace, che sia il più possibile duratura e stabile. Per questo motivo ho deciso di ascoltare dalla viva voce di 4 persone, cos’è effettivamente la guerra; cosa genera nell’animo umano, cosa produce nella psiche delle persone, cosa induce a pensare e come influisce sulla vita. Dragan (31 anni), Mirlinda (28 anni), Driton (26 anni) e Viona (21 anni) sono 4 giovani ragazzi che vivono nei Balcani, dove conducono i propri studi ed attività lavorative – sociali. Non vuole questo pezzo dare torto o ragione ad una comunità rispetto ad un’altra riguardo le vicissitudini del recente conflitto nell’ex Jugoslavia, ma è un modo per capire dalla viva voce di queste persone che la guerra non è un videogioco o una pellicola hollywoodiana, bensì suoni e colori: Viona, “(…) avevo solo 3 anni quando nel Kosovo era in corso il conflitto armato. La prima sera che vidi i bombardamenti in corso non capivo bene che cosa fosse successo… Vedevo dalla mia finestra colori intensi, luminosissimi colori che illuminavano la notte. Mi approcciai estasiata al davanzale della mia finestra e contemplavo felice quelli che sembravano fuochi d’artificio. Non avevo contezza di cosa stesse succedendo. Ricordo soltanto che i miei genitori mi allontanarono immediatamente dalla finestra quando si accorsero dov’ero”. Dragan, “13 anni, quest’è l’età che avevo nel 1999. Ricordo chiaramente quei momenti: mio fratello ci contattò dagli Stati Uniti d’America dove ancora oggi risiede e lavora. La notizia era secca e sconcertante: la
Nato aveva deciso di bombardare Belgrado ed erano pronti per il decollo alcuni caccia pronti a sganciare gli ordigni sugli edifici ed obiettivi strategici. All’inizio prendemmo la notizia per falsa, poiché già altre volte l’allarme era scattato, ma quel giorno però, oltre al suono della sirena distinguemmo il rombo dei motori degli areoplani. Scappai con i miei famigliari nel bunker della palazzina ove vivevo. Le esplosioni furono tremende, risiedevo nei pressi di una base militare serba. Quando tornammo nel nostro appartamento i vetri erano finiti in frantumi, l’area circostante del quartiere non era più la stessa. Come dimenticare il suono della sirena! Continuo, rumoroso, infinitamente pauroso. Ancora oggi, quando mi capita di sentire una sirena, anche  in un film, instantaneamente rifuggo nei miei ricordi, e scatta in me immediatamente la voglia di cercare rifugio, Dio solo sa dove”.

La guerra aiuta a capire quello che siamo e ciò  che possiamo evitare di diventare: Mirlinda, “La guerra è distruzione, porta via tutto quello che l’uomo è riuscito a costruire in anni, lustri, secoli, millenni…L’ambiente circostante, piante, panorami, animali, tutto viene spazzato via in pochi istanti da esplosioni improvvise.” Ditron, “Ricordo che ad ogni esplosione il palazzo dove risiedevo vibrava, vibrava tremendamente. Ad ogni bomba sganciata oggetti, mobili, lampadari, tutto vibrava ed il tempo rimaneva sospeso, come i nostri cuori, che per alcuni secondi smettevano di battere in attesa della speranza, nel renderci conto che eravamo ancora vivi e che nessuno dei nostri cari era rimasto ferito. Sapevamo che erano bombe intelligenti, sganciate per aiutarci a ritrovare la libertà e la dignità perdute, ma in verità non ci sono bombe buone e bombe cattive: le bombe sono tutte asettiche, colpiscono ed uccidono da entrambe le parti, stroncano vite umane e modificano i caratteri di chi sopravvive”. Dragan, “Ricordo distintamente quando “erroneamente” una bomba cadde nel mercato rionale; decine di persone persero la vita sotto il peso delle bombe “intelligenti”.

 

La gente scappa da queste atrocità, cerca in tutti i modi di trovare riparo altrove, in posti dove rassicurare ed assicurare ai propri cari condizioni di vita migliori: Mirlinda, “Avevo solo 8 anni quando dovetti scappare con i miei famigliari in Albania. Ricordo chiaramente la fuga su un camion affollato, pieno zeppo di persone sconosciute ed  impaurite. Il timore di essere arrestati e torturati cresceva col sopravanzare dell’oscurità, che man mano si faceva più densa, accerchiava i nostri pensieri ed angosciava profondamente i nostri animi già scossi”. Viona, “Al momento della fuga non portai con me i miei amati giocattoli. Quando dovemmo scappare in Macedonia con i miei genitori non mi fu permesso di lasciarmi accompagnare dalle mie amate bambole. Ricordo la paura di non ritrovare più ciò che avevo lasciato in Kosovo…Oggi, ogni volta che vedo nel televisore le immagini di bimbi che scappano dai conflitti con una bambola fra le mani, ricordo la profonda rabbia che mi ha procurato la guerra, quella profonda rabbia di non poter avere i beni più preziosi: i giocattoli”. Dragan, “E’ impossibile pensare che la gente scappa ed emigra perché non si trova bene dove risiede. Le persone vanno altrove per ragioni economiche, per avere l’opportunità di trovare migliori condizioni di vita. E’ incredibile come ancora oggi ci sia chi possa denigrare chi fra mille difficoltà attraversa immani peripezie per allontanarsi dall’Iraq, dalla Siria… .”

 

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Con la guerra i caratteri delle persone acuiscono e si abituano a provare nuove emozioni, a sentire lo scorrere del tempo in modo diverso, ad affinare i propri spiriti verso modi di fare e di agire di cui si ignorava prima la possibilità: Dragan, “Per diverse settimane i bombardamenti continuarono a riempire le giornate e le nottate di Belgrado. Dopo la paura dei primi giorni tutto iniziò ad assumere connotati differenti: eravamo laconicamente felici di non seguire le lezioni perché la scuola rimaneva per ovvie ragioni chiusa. Non posso però dimenticare quella prima giornata in cui piombarono dal cielo i primi ordigni. Non avevo avuto modo di finire i miei compiti, ed ero estremamente impaurito per la brutta figura che avrei fatto il giorno seguente, quando avrei dovuto disattendere le aspettative della mia insegnante. Purtroppo quell’anno non riuscii a terminare l’anno scolastico. Lasciai i banchi di scuola con profonda nostalgia. Fra i quei banchi lasciai qualcosa di incompiuto, non per mio volere, ma per cause esterne, cause importanti che avevano per nome Guerra e per cognome Morte. Mirlinda, “(…) un paio di settimane prima di partire per l’Albania ricordo che un ragazzo, a testa e croce un ventenne, venne a chiedere aiuto in casa nostra. Scappava da un camion con a bordo altri maschi, fra cui arrestati e soldati. Mio padre immaginava bene la  fine  che poteva fare quel giovane nel malaugurato caso fosse finito nuovamente nelle mani dei militari! Ospitammo il ventenne nel sottotetto, offrendogli ricovero e dividendo con lui i nostri pasti. Non so che fine abbia fatto quel giovane, né tanto meno ricordo il suo nome. Non so se è riuscito a trovare ristoro in altri posti. La guerra è così, un miscuglio di vite che si incrociano senza un apparente perché”. Driton, “Se dovesse accadere oggi ciò che è accaduto qualche anno fa, di sicuro riuscirei a rendermi utile. Non osserverei i carri armati incedere senza passare all’azione. Non sono nazionalista, ma penso che quando la tua casa si trova in serie condizioni di pericolo, allora si attiva nell’animo umano una sorta di campanello di allarme che non si può reprimere; si è naturalmente portati a resistere, ad opporsi all’invasore. Sono però anche conscio che queste sono delle idee, delle illazioni che poi, nel caso concreto, potrebbero essere disattese. La guerra porta con sé reazioni incomprensibili; probabilmente, invece che combattere, deciderei di travestirmi da donna e cercare in tutti i modi di scappare, di salvare la pelle e quel dono infinitamente importante ch’è la Vita. Scapperei altrove per avere l’impressione di essere libero, di non morire schiacciato come un insetto sotto il crollo di una palazzina, di rimanere inchiodato da un proiettile lanciato da chissà quale fucile, da chissà quale distanza”.

Dal 2006 il Montenegro e la Serbia sono due Paesi distinti e separati. Dragan, “Mio nonno è stato un  grande partigiano durante l’occupazione fascista. Anche se giovane era a capo di un commando di resistenti. Lui e suo fratello hanno combattuto eroicamente per la nostra libertà. Il fratello di mio nonno ha perso la vita per resistere alle violenze fasciste. Chi ha combattuto contro i fascisti ed i nazisti non riesce a spiegarsi come Serbia e Montenegro potessero essere due Paesi separati; abbiamo la stessa lingua, la stessa cultura! Ma si sa, gli affari economici e la politica non sempre seguono le regole logiche della convivenza”.

 

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Dal 2008 il Kosovo è uno stato indipendente, con una propria bandiera, una squadra di calcio che rappresenta la nazione, e l’euro quale moneta di scambio nazionale, Mirlinda, “Ancora oggi in occasioni particolari ed in celebrazioni importanti molti kosovari preferiscono usare la bandiera albanese. Non è ancora sopita l’utopia di un’unità nazionale con l’Albania. Rispettiamo la nostra bandiera, ma non la sentiamo nostra: è stata coniata dalle istituzioni europee, e riprende i colori dell’UE. Le sei stelle rappresentano le comunità che oggigiorno convivono nel Kosovo.” Viona, “Non sono interessata a far parte di un’Unione che non riconosce i principi minimi della convivenza. L’Unione Europea  mi sembra oggi un’istituzione guidata da alcuni colossi continentali. Il nostro Paese è molto piccolo, rischieremmo in breve tempo di trovarci al servizio di qualche Paese più grande ed importante del nostro. Tuttavia è molto importante far parte dell’Unione: opportunità di spostarsi senza passaporto, di studiare, lavorare, aprire attività economiche in Paesi e contesti diversi da quello di origine… è tutto stupefacente! Se l’Europa torna ad essere inclusiva e rispettosa delle peculiarità altrui, allora mi farebbe davvero piacere potermi dire cittadina europea”.

Le impressioni ed i ricordi dei quattro giovani intervistati sono emozioni vissute recentemente, che ci devono far riflettere perché anche nella moderna e cosmopolita Europa, lo spettro della guerra non è scomparso e non appartiene a libri di storia ingialliti e tarlati. Il 25 Aprile è per noi italiani un monito, un richiamo che deve costantemente risuonare nelle nostre menti e riverberare nei nostri cuori lo spirito di tolleranza e la capacità di allenarci al dialogo. Il conflitto genera solo miseria, e come ci hanno ricordato le impressioni dei quattro giovani, alla fine a vincere sono soltanto la crudeltà e la banalità del male. Protendiamo quindi le nostre anime alla pace, e ricordiamoci costantemente di ciò che siamo e ciò che vogliamo rimanere: ESSERI UMANI.

 

Emanuele Carnevale